the silent space between and around words

incidere una tela senza lacerarla è possibile solo se la si rende spessa con strati di colore, di pigmento steso come fosse calce a ripristinare il muro dei secoli, il muro della memoria latente, pronto a balzare in primo piano ed essere tavola del presente appena lo si riconosca come superficie sul quale i segni impressi ci catturino, non necessariamente facendosi forieri di un interpretabile messaggio. graffi, scarabocchi, piccoli aggrovigliati vortici, parole monche. su questo impercorribile crinale si pone edith urban: sul fatto che il segno possa identificarsi con un significato non necessariamente ascrivibile a una lingua, ma appunto a quello  della evocabilità, dell’azione espressiva, del grido inerte che pure deve raggiungere gli altri perché un sostrato universale comune dichiari uguali gli umani che pur s’infliggono sofferenza e fratricide guerre. che, dunque, tale segno condiviso emerga sulla superficie appena raffreddata di lavico fiume, su un muro di consumata materia, sia inciso o vi appaia sovrapposto, che sia appena uno sgraffio o che sembri estendersi fluente come un’intera frase, giunge a noi colpendoci come un gesto che ci afferra le viscere. un’evocazione dell’antico che si attualizza nel nostro presente per avvertirci che  è sempre possibile cambiare direzione, che niente è scritto in maniera definitiva. 

rosa pierno

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